Casa Morra

4° anno – 2022 – Gli Unici – AL HANSEN

Al Hansen (1927-1995). Siluette ossessive e warholianamente maniacali ricalcano la Venere di Willendorf, la dea della fertilità. Sono innumerevoli le donne sformate, colorate, fatte di oggetti trovati, di carte del cioccolato “Hershey’s”, di carta igienica, di fiammiferi e ogni sorta di prodotto industriale. Alcune hanno il colore spruzzato addosso altre sono pin up dal corpo tornito da mozziconi di sigaretta che Hansen raccoglie dai marciapiedi o dai posaceneri dei bar, gironzolando con i nipoti complici. I corpi femminili evocano la bellezza e il suo opposto. Non hanno volto e la loro fisicità è in fumo. Le Venus sono figure seriali fatte con tutto ciò che rimane dalle performance. Collage, filtri, roba da strada, corde, pellicole (ancora accumuli). La figura votiva presuppone un rituale, il fumo dell’incenso, un’azione catartica, un’improvvisazione. Hansen è vicino all’atteggiamento Zen di John Cage ma è anche amico intimo di Warhol. A differenza sua, però, non lo interessa lo Star System. Egli mostra l’altro lato della pubblicità, del pop e della carta patinata. Mostra la “versione homeless” delle cose e del consumo, con oggetti raccattati dalla poubelle. Considera l’arte più vicina alle banlieues che ai musei. Non riesce a mettere radici da nessuna parte, è nomade, euforico e rimane a lungo a Napoli. La sua prima performance forse parzialmente inconsapevole – che ripeterà anni dopo con Yoko Ono – è del 1945 quando, soldato a Berlino, butta un pianoforte dalla finestra di un edificio bombardato. Il suono è metafora di guerra e urlo di poesia. Per Hansen l’insignificanza del quotidiano è la straordinarietà della vita.

Manuela Gandini

Al Hansen (1927-1995). Obsessive and Warhol-like silhouettes reproduce Willendorf’s Venus, the goddess of fertility. There are countless misshapen, colourful women made from objects found by chance, Hershey’s chocolate wrappers, toilet paper, matches, and all manner of industrial products. Some are sprayed with paint; others are pin-ups with bodies made from cigarette butts that Hansen collected from pavements or ashtrays in bars as he wandered about with his complicit grandchildren. His female bodies evoke beauty and its opposite. They have no faces, and their physicality is smoke-filled. The Venuses are serial figures made from whatever is left over from the performances. Collage, filters, things off the street, ropes, film (again, accumulations of things). The votive figure presupposes a ritual, smoking incense, a cathartic action, an improvisation. Hansen flirted with John Cage’s Zen attitude, but he was also a close friend of Warhol’s. Unlike him, however, he had no interest in the Star System. Hansen highlighted the other side of advertising, pop, and glossy magazines, presenting the “homeless version” of things and consumerism, with objects taken from the poubelle. He considered art closer to the banlieues than to museums. He was incapable of putting down roots; he was nomadic, euphoric, and stayed in Naples for a length of time. His first, perhaps partially unconscious, performance, which he repeated years later with Yoko Ono, was in 1945 when he threw a piano out of the window of a bombed-out building when he was a soldier in Berlin. Sound is a metaphor for war and poetry crying out. For Hansen, the insignificance of the everyday was the extraordinariness of life.

Manuela Gandini